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Anche se in colpevole ritardo, oggi pubblichiamo un articolo di Gian Antonio Stella, tratto dal Corriere della Sera del 13 gennaio 2012. Il pezzo fa un po’ di conti in tasca a noi trentini, o meglio ai nostri politici, che in molti casi guadagnano cifre spropositate. Addirittura il presidente della provincia di Bolzano guadagna più di Obama! Leggere per credere.

SE IL VICE DI DURNWALDER GUADAGNA PIU’ DI SARKOZY

Bravissimi, bravissimi, bravissimi. Pagato il pedaggio di riconoscere a trentini e altoatesini che le loro terre sono governate meglio di gran parte del resto d’Italia, si può sommessamente dire che non va bene che un assessore bolzanino guadagni di più che un ministro di Berlino?

Lo denuncia, col titolo «Fette Diäten» (Grasse indennità) il quotidiano sudtirolese Neue Südtiroler Tageszeitung , diretto da Arnold Tribus, liberale, radicale, amico di Alex Langer, malvisto dai separatisti almeno quanto è amato da chi auspica un Alto Adige europeo e serenamente bilingue. Meno male. Meno male perché non c’è occasione in cui chi tocca il tema dei costi della politica quassù, sollevando perplessità su certe storture che scatenerebbero l’iradiddio se avvenissero a Napoli, Palermo o Catanzaro, non venga investito dal lamento per l’onore offeso delle genti alpine. E come sui Nebrodi o in Aspromonte divampano i sospetti sul complotto nordista, qui dilagano i dubbi su una congiura anti-autonomista.

Esente dal sospetto di essere nemica dell’autonomia, che anzi difende accanitamente, la Tageszeitung si prende dunque la libertà di dire cose scomode. A partire da certi confronti. Non solo quello noto tra le buste-paga mensili di Luis Durnwalder (appena limata a 25.620 euro) e Barack Obama (23.083 al cambio di ieri), ma tanti altri. Che potrebbero consentire al giornale di rifare il titolo ironico di tre anni fa: «Poveri tedeschi!».Poveri davvero, sia quelli di Germania sia i cugini austriaci. Il giornale, sommando indennità, diarie e rimborsi forfettari, fa ad esempio un paragone tra gli introiti mensili reali (se poi ciascuno dà soldi al partito è un’altra faccenda, ma non può essere a carico dei cittadini) di rappresentanti istituzionali più o meno paralleli.

Bene, il presidente del parlamento del Libero Stato di Baviera, Barbara Stamm, guadagna ogni mese al lordo 14.841 euro. Quello del Bundestag a Berlino, Norbert Lammert, 16.504. Quella della Camera austriaca Barbara Prammer, 17.136. E quello del consiglio provinciale altoatesino Mauro Minniti 21.440. Più del doppio rispetto al pari-grado del Tirolo austriaco Herwig Van Staa, che di euro ne prende, dice la «NST», 8.902.
Ma sono tutti i paragoni del giornale tedesco a essere, diciamo così, curiosi. La vicepresidente dell’assemblea provinciale bolzanina Julia Unterberger, con 17.220 euro lorde, risulta avere ogni mese quasi seimila bigliettoni in più rispetto a Hillary Clinton, che come segretario di Stato americano guadagnerebbe, stando ai siti ufficiali, 136.204 euro l’anno, cioè 11.350 al mese.
Certo, Durnwalder ha ragione quando dice che lavora 17 ore al giorno (chi vuole controlli: alle sei di mattina è in ufficio) e che il suo stipendio è «un terzo di quello del direttore generale della Cassa di risparmio locale». La Bbc , l’anno scorso, fece la lista degli uomini più pagati del pianeta: David Tepper riceveva da Appaloosa Management un salario di 4 miliardi di dollari, George Soros dal Soros Fund 3,3, James Simons da Renaissance Technologies 2,5. E bene ha fatto Obama a sottolineare più volte che sono cifre offensive. Detto questo, però, lì parliamo di soldi «privati» (tra virgolette, ovvio: in caso di tracolli finanziari troppo spesso sono tirati poi in ballo i governi e con loro i cittadini) e qui di soldi «pubblici». E i confronti si fanno tra figure confrontabili.

Ed ecco che colpisce il distacco non solo tra il «lordo» mensile di Durnwalder rispetto al governatore del Tirolo Günther Platter, che con 13.353 euro prende poco più della metà del «cugino». Ma più ancora quello del presidente della giunta provinciale trentina Lorenzo Dellai (21 mila euro: erano 21.539) rispetto a quello del cancelliere Angela Merkel: 18.883. È demagogico chiedere se sia normale che Rosa Thaler, presidente dell’assemblea regionale trentina (organo ormai svuotato dal rafforzamento dei due consigli provinciali che lo compongono abbinandosi ogni tanto) abbia una busta paga di 21.300 euro, cioè maggiore di quella del cancelliere austriaco Werner Faymann? O che Hans Berger, il «vice» di Durnwalder, prenda 24.360 euro lordi al mese contro i 21.133 di Nicolas Sarkozy?
Quanto ai «soldati semplici», accusa il giornale tedesco di Bolzano, le differenze sono altrettanto nette: un «deputato» del land bavarese prende 6.881 euro lorde al mese, un consigliere tirolese a Innsbruck 4.748, un parlamentare al Bundestag di Berlino 8.252, uno alla Camera viennese 13.872. Sopra a tutti, un consigliere provinciale altoatesino se ne ritrova in busta paga 14.000. Se il segretario generale dell’Onu Ban Ki moon ne prende 13.823 c’è o no qualcosa che non va? O c’è chi pensa di cavarsela con la tesi che è Ban Ki moon a esser sottopagato?

Sono sottopagati i ministri germanici del governo Merkel e quelli austriaci del governo Faymann, che secondo la «NST» prendono rispettivamente 16.300 e 16.320 euro al mese o sono pagati troppo gli assessori altoatesini che di euro ne portano a casa mensilmente, ancora al lordo, 23.100? Torniamo a dirlo e ridirlo: qui non si contesta l’accordo internazionale che ha garantito giustamente all’Alto Adige e di sponda al Trentino una larga autonomia. E ci è facile riconoscere a chi ha governato quelle montagne, quelle valli, quelle città bellissime non solo di essersi fatto carico di mille competenze (strade, scuole, sanità, paesaggio…) altrove a carico dello Stato, ma di aver lavorato meglio di altri. La prova: Bolzano e Trento svettano sempre in cima a tutte le classifiche sulla qualità della vita.

Ma proprio per difendere quei risultati occorre che quelle autonomie virtuose si sgravino delle zavorre denunciate anche da giornali non certo centralisti come il Corriere del Trentino di Enrico Franco o l’Adige di Pierangelo Giovanetti. Che dopo aver espresso dubbi su certe prebende trentine (17.949 euro agli assessori, 9.432 al sindaco del capoluogo, 8.847 a quello di Rovereto, 7.461 a quello di Comuni come Riva del Garda: proporzionalmente 66 volte più di quello di Milano) hanno messo sotto accusa l’accumulo sbalorditivo di enti locali. Che qui sono cinque: Regione, Provincia, Comuni, Comunità di Valle e Circoscrizioni. E tutte distribuiscono soldi. Basti dire che le 16 «comunità» danno ai membri degli esecutivi almeno 867 euro, ai vicepresidenti almeno 1.060, ai presidenti da 2.891 a 3.533. Quanto alle circoscrizioni, che sono 12 a Trento e 7 a Rovereto nonostante siano state abolite in tutt’Italia sotto i 250.000 abitanti, i soli presidenti costano 360.000 euro l’anno. L’Adige ha fatto i conti: la spesa totale per le indennità dei 5 organismi è di 50.468.000 euro l’anno. Pari a 95,3 euro per abitante. Tutti «costi indispensabili della democrazia»?

Un interessante e lucido articolo di Michele Ainis, che commenta la bocciatura del referendum sulla legge elettorale effettuata ieri dalla Corte Costituzionale.

di Michele Ainis, dal Corriere della Sera, 13 gennaio 2012


Nessun miracolo, Lazzaro non è resuscitato; sicché rimane in vita il Lazzarone. Ossia la nostra pessima legge elettorale, che i referendari avrebbero voluto cancellare riesumando il Mattarellum. Reviviscenza, è questo il nome in codice del marchingegno giuridico sottoposto alla Consulta. Ma la giurisprudenza costituzionale ha sempre escluso le resurrezioni (sentenze n. 40 del 1997, 31 del 2000, 24 del 2011); anche perché altrimenti, se un referendum sancisse l’abrogazione dell’ergastolo, otterrebbe il paradossale effetto di ripristinare la pena capitale. E in secondo luogo la Consulta, fin dalla sentenza n. 29 del 1987, ha sempre acceso il rosso del semaforo contro i referendum totalmente abrogativi d’una legge elettorale: in caso contrario ogni legislatura durerebbe un secolo, se il Parlamento non colmasse la lacuna.

(nella foto, il Palazzo della Consulta)

Insomma l’inammissibilità di questo referendum (diagnosticata da chi scrive lo scorso 16 settembre, sul Corriere) era un po’ a rime obbligate. Chissà come abbia poi preso corpo l’opposta sensazione, misteri della fede. E tuttavia, nonostante la legittima amarezza di quanti avrebbero voluto disfarsi del Porcellum, il rispetto dei propri precedenti da parte delle Corti rimane un valore irrinunziabile. Perché restituisce certezza al nostro orizzonte collettivo, e perché la certezza — diceva Lopez de Oñate, un giovane filosofo cui la sorte non concesse d’invecchiare — rappresenta la specifica eticità del diritto.

Sennonché questo no incondizionato al referendum non era senza alternative, altrimenti i giudici costituzionali non ci avrebbero messo due giorni per decidere. E fra i precedenti che la Consulta ha via via collezionato c’è pur sempre la sentenza n. 16 del 2008, dove si leva l’indice contro gli «aspetti problematici» della (ahimè) vigente legge elettorale. Come coniugare dunque la certezza e la giustizia? Rifiutando il referendum, ma al contempo impugnando l‘incostituzionalità della legge timbrata dall’ex ministro Calderoli. Se la Consulta avesse imboccato questa strada, i partiti avrebbero avuto qualche mese per licenziarne la riforma; in caso contrario sarebbe scattata la mannaia. Tuttavia la nostra Corte non l’ha fatto, probabilmente le è mancato qualche grammo di coraggio. E il coraggio — mormorava don Abbondio — chi non ce l’ha, non se lo può dare.

Che cosa resta allora di questo referendum? Restano un milione e 200 mila firme raccolte in un battito di ciglia, a testimoniare l’odio popolare verso una legge che sancisce il divorzio dei rappresentanti dai rappresentati. Resta l’esigenza di non frustrare più in futuro gli sforzi del comitato promotore, magari anticipando il verdetto della Corte costituzionale al giorno precedente la raccolta delle firme, anziché al giorno successivo. O meglio ancora facendo spazio nelle nostre istituzioni al referendum propositivo, accanto a quello abrogativo: e allora sì, la reviviscenza non sarebbe più vietata. Infine resta la domanda di coinvolgere gli elettori nelle faccende che riguardano gli eletti, a partire dal modo con cui vengono eletti.

E c’è poi, alla fine della giostra, un imperativo categorico che si rivolge alla giostra dei partiti. Cambiate questa legge elettorale, risparmiateci lo strazio del terzo Parlamento nominato anziché eletto. Spazzate via le liste bloccate, e già che ci siete anche questo premio di maggioranza senza soglia minima, un espediente che non aveva osato neppure Mussolini. Rimpiazzatela con un maggioritario puro, con un proporzionale distillato, o se vi pare con un maggiorzionale. Ma fatelo, non foss’altro che per dare senso al vostro ruolo in Parlamento, mentre il governo Monti tira avanti da solo la baracca. Dopotutto l’ozio è il padre dei vizi.

Dal Corriere di ieri, un interessante articolo di Gian Antonio Stella.

«Nei Paesi evoluti non si protesta contro la Casta, ma contro Wall Street», ha detto Massimo D’Alema infastidito dalle polemiche sugli eccessi della politica. Tiriamo a indovinare: che sia perché il Parlamento costa a ogni americano 5,10 euro, a ogni inglese 10,19, a ogni francese 13,60, a ogni italiano 26,33? 0 perché un consigliere regionale lombardo come Nicole Minetti o Renzo Bossi prende quanto i governatori di Colorado, Arkansas e Maine insieme? O sarà perché secondo la «Tageszeitung» l’assessore provinciale alla sanità di Bolzano guadagna circa seimila euro più del Ministro della Sanità tedesco? O perché un dipendente del Senato costa mediamente 137.525 euro lordi l’anno cioè 19.025 più dello stipendio massimo dei 21 collaboratori stretti di Obama?

Bastano pochi dati a dimostrare quanto sia un giochetto peloso spacciare la difesa di certi spropositi con la difesa della democrazia. Se la Camera spende oggi per gli affitti delle sue dependance 41 volte di più di trent’anni fa cosa significa: molte più spese, molta più democrazia?

Il quotidiano sgocciolio su questo tema di parole acide, permalose, stizzite dimostra come l’idea di Monti che la politica debba dare «un segnale concreto e immediato» sui suoi costi non sia stata affatto digerita. Anzi. E col passare dei giorni e il crescere del nervosismo dei cittadini intorno al mistero sui sacrifici in arrivo, diventa sempre più urgente quel segnale di forte discontinuità invocato e promesso.

Prendiamo i vitalizi parlamentari. La Camera ha deciso a luglio e il Senato giorni fa che dalla prossima legislatura non ci saranno più. Meglio: saranno sostituiti per i prossimi parlamentari da qualcosa di diverso. A naso, una pensione integrativa calcolata sui contributi versati come accade ai comuni mortali dalla riforma Dini di 16 anni fa, quando la classifica marcatori (siamo nel giurassico) fu vinta da Igor Protti. A naso, però. Perché la decisione «vera» sarà presa da una «apposita commissione». E mai come in questi casi gli italiani temono che avesse ragione Richard Harkness spiegando sul New York Times che «dicesi Commissione un gruppo di svogliati selezionati da un gruppo di incapaci per il disbrigo di qualcosa di inutile». Ci sbagliamo? E l’augurio di tutti. Ma, come riconosce la più giovane dei deputati italiani, Annagrazia Calabria, l’intenzione di abolire i vitalizi dalla prossima legislatura è «del tutto insufficiente, se non inadeguata», rispetto alla gravità del momento.

Ogni ritocco alle pensioni (e girano voci di interventi dolorosi) sarebbe assolutamente inaccettabile se avvenisse un solo istante prima di una serie di tagli veri ai vitalizi e agli altri assegni pubblici privilegiati. E non si tirino in ballo i «diritti acquisiti»: quelli dei cittadini sono stati toccati più volte. Prendiamo il blocco dell’adeguamento automatico all’inflazione: potrebbero i pensionati accettarlo se prima (prima!) non fosse smentito che i dipendenti del Quirinale (i quali solo nel 2011 hanno perduto un po’ di privilegi) godono dell’aggiornamento pieno come fossero ancora in servizio? Vale per tutti: tutti.

Certo, come migliaia di pensionati-baby, anche chi è finito sui giornali per certi vitalizi altissimi, da Lamberto Dini a Giuliano Amato, da Publio Fiori a Gustavo Zagrebelsky, può a buon diritto dire «non ho rubato niente, la legge era quella». Vero. Se andiamo verso una stagione di vacche magrissime, però, chi ha avuto di più sa di avere oggi anche la responsabilità di dare di più. Qualche caso finito sui giornali ha già dimostrato che formalmente non è possibile rinunciare a una prebenda e comunque non ha senso che lo Stato chieda al singolo gesti di generosità individuale che non possono che essere «privati»? Si trovi una soluzione.

Ma, con la brutta aria che tira in Europa e coi nuvoloni che si addensano da noi, l’intera classe dirigente a partire dallo stesso Mario Monti non può permettersi neppure di dare l’impressione di tenersi stretti certi doni, oggi impensabili, di una stagione che va dichiarata irrimediabilmente finita.

Caro Giacomo, ho letto con molto interesse il tuo articolo, che ho trovato brillante e pieno di spunti. Sono d’accordo su molte cose, ma su altre no. Provo quindi a risponderti esponendo il mio punto di vista.

Prima di tutto, voglio sia chiara una cosa. Non credo assolutamente a nessun complotto di Monti o del suo governo. Certo, quello che ha creato è un esecutivo dei poteri forti (con alcuni ministri molto vicini alla Chiesa, altri facenti parte di Intesa Sanpaolo, altri ancora di ulteriori banche), ma formato da persone capaci e competenti, che hanno dimostrato lungo tutta la vita il loro valore. Avere un ex prefetto alla Giustizia, un’esperta di pensioni e welfare al Lavoro e un docente universitario all’Istruzione non sembra vero. Ma certo, come ho già scritto, si poteva evitare di nominare Passera allo Sviluppo Economico (oltre ad altri soggetti). Ma, comunque, ho fiducia in Monti e nella sua squadra. Penso che siamo in buone mani. Vedremo il programma, se saranno capaci di coniugare ripresa economica, sviluppo e giustizia sociale.

Per quanto riguarda la dipartita del Caimano, penso che i festeggiamenti di piazza siano stati giusti, normali e doverosi (come anche tu riconosci). E’ vero, non bisogna perdere tempo ma darsi da fare, e subito, per risistemare la nostra situazione, ma non credo che una sera di gioia per la liberazione da chi ha azzerato il senso morale, civico e culturale di questo Paese possa nuocere all’Italia. Il Corriere della Sera, come altri giornali, ha criminalizzato i festeggiamenti, indicandoli come una cosa barbara ed incivile. Ma in tutto il mondo, da sempre, quando un leader a dir poco discusso esce di scena, viene accompagnato da manifestazioni di ogni tipo. E’ normale. L’importante, nel nostro caso, era muoversi immediatamente per creare un’alternativa, e così è stato.

Nonostante questo, sono d’accordo con i motivi che elenchi, che dovrebbero dissuaderci dal festeggiare. Ma vorrei fare una precisazione: non è poi così incredibile che la gente l’abbia votato ancora una volta, tre anni e mezzo fa. Non dimentichiamo, infatti, che lui ha il controllo di una buona fetta della stampa e praticamente di tutta la televisione (che è l’unico mezzo di informazione per il 65-70% circa della popolazione). In pratica, decide di cosa si parla e di cosa non si parla. Decide cosa dobbiamo pensare, spappolandoci il cervello con telegiornali barzelletta (TG1 su tutti) e programmi demenziali. Tramite questi mezzi si cancella la memoria delle persone e le si manipola (ecco perchè concordo sul rischio che il PDL possa ricostruire la sua immagine durante il governo di Monti, anche se stavolta, con questo fallimento gigantesco alle spalle, la vedo più dura). Inoltre, guardando dall’altra parte, l’elettore vede un carrozzone di gente incapace di mettersi d’accordo su nulla, che esprime 25 posizioni su uno stesso problema e non è in grado di opporsi seriamente all’avversario. Parlo ovviamente del PD. L’argomento meriterebbe un articolo intero ma, per motivi di spazio, limitiamoci a chiamarlo effetto T.I.N.A. (there is no alternative). In conclusione, quindi, non ritengo così incredibile che gli italiani lo abbiano votato nuovamente.

Veniamo ora al problema più grande  e più stimolante: il fallimento della politica.

Da molti anni, decenni ormai, la politica in Italia non fa più il suo mestiere. Certo, ci sono stati (e ci sono tuttora) sicuramente esempi encomiabili di persone appassionate ed interessate al bene del Paese, che si danno da fare e si adoperano per occuparsi dei problemi concreti. Ma, a partire da Andreotti, passando per Craxi, per arrivare fino a Berlusconi, la politica è stata piegata a interessi che da essa esulano completamente: affari con la mafia, tangenti, appalti, speculazioni edilizie, risanamenti illegali di aziende e via dicendo. Questa tendenza è culminata con B., che ha utilizzato (come prima mai era successo) la politica per risolvere i suoi problemi finanziari e giudiziari, senza curarsi minimamente di altro. E si è portato in Parlamento tutto un battaglione di personaggi legati a doppio filo a lui stesso o ad ambienti poco raccomandabili, che hanno fatto esattamente come lui. Tutto questo ha soffocato e reso invisibile il buon lavoro di chi nella politica crede davvero e si mette al servizio dei cittadini.

Da questa situazione (unita a un complesso di privilegi insopportabili che è andato via via crescendo) è nata l’idea di “casta“. Che, a differenza di quello che dici, non è un’estensione “a tutta la classe politica [di] una caratteristica propria della squadra Berlusconi, ovvero quella dell’autoreferenzialità, l’interesse solo per la propria sussistenza e autodifesa”. Purtroppo, tutto l’arco delle forze politiche è stato contagiato dal berlusconismo e dalla brama di potere. Come dimenticare gli scandali che hanno coinvolto alti dirigenti del PD (D’Alema e Fassino per l’affare Unipol tra i tanti), gli infiniti favori a B. (niente legge sul conflitto d’interessi, riforme della giustizia allucinanti), i voti contro l’arresto o l’utilizzo di intercettazioni degli esponenti del partito (casi Tedesco e, ancora una volta, D’Alema), le innumerevoli leggi vergogna (bavaglio Mastella e indulto, solo per fare due esempi), i nepotismi (Di Pietro che candida suo figlio), le nomine spaventose (Vendola che nomina assessore alla sanità Tedesco, che è fornitore di protesi alla sanità pugliese)? L’elettore vede un migliaio di persone che ha privilegi inconcepibili e che si fa allegramente gli affari propri, da una parte come dall’altra (anche se siamo d’accordo che una delle due parti lo fa enormemente di più).

Per questo i cittadini vogliono tagli ai costi della politica. Che, ovviamente, non risolveranno la situazione del Paese, ma possono comunque essere una voce non da poco nell’elenco delle cose da fare. Per fare solamente un paio di esempi, razionalizzando le auto blu si può risparmiare (secondo Brunetta) un miliardo di euro, mentre eliminando le province si risparmierebbero addirittura (calcoli di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo ) tra i 14 e i 16 miliardi. Non proprio una pagliuzza. Ma l’effetto principale dei tagli alla politica (come anche tu riconosci) sarebbe di dare nuova fiducia agli italiani nella classe dirigente, che va a governare o legiferare non per arricchirsi, ma per rendere un servizio al Paese.

Tu dici che gli inglesi non sanno nulla e si mettono nelle mani dei loro politici. Ma noi come potremmo metterci nelle mani di ladri, incompetenti, cretini, mignotte, gente che è arrivata dov’è non per merito ma per tutti altri motivi? Il problema fondamentale, quindi, è quello della selezione della classe dirigente. Che non deve avvenire sui cubi della discoteca o nelle segrete stanze, ma con un grande lavoro dei partiti, che si devono impegnare a far lavorare i loro giovani sul territorio, facendoli partire dalle piccole realtà locali per farli crescere ed imparare, prevedendo anche un serio ricambio generazionale. Penso sia necessaria anche una legge sui partiti, che imponga bilanci trasparenti e regole certe anche in altri campi. Oppure, come avviene nel Movimento 5 Stelle (che, lo so, tu non ami, ma che da questo punto di vista può essere un buon esempio), tramite dei ragazzi che siano semplicemente terminali di un gruppo di persone che li elegge e poi dice loro cosa fare tramite la rete.

Un ruolo fondamentale nella selezione della classe dirigente deve essere ricoperto da noi, dai cittadini, dal famigerato popolo sovrano. Siamo noi che, attraverso una nuova legge elettorale e un’informazione che ci fornisca gli elementi per decidere, abbiamo il compito di scegliere chi merita la nostra fiducia. Non sono per nulla d’accordo con te quando affermi che “l’italiano medio è troppo informato, troppo consapevole e troppo istruito e quindi pensa di potersi fare un’idea più giusta di quella degli altri semplicemente leggendo qua e là, ascoltando qua e là e mettendo un po’ tutto insieme, ma fermandosi troppo presto, senza ovviamente approfondire l’analisi in modo scientifico.” L’italiano medio pensa di potersi fare un’idea più giusta di quella degli altri senza approfondire l’analisi proprio perchè non è nè istruito, nè consapevole, nè informato. Sa pochissime cose, ma fa il tuttologo, parla di tutto senza sapere quasi niente.

Noi probabilmente non ce ne rendiamo conto perchè ci circondiamo di persone che, bene o male, condividono il nostro grado di cultura e consapevolezza del mondo. Ma l’italiano medio non sa il 90% delle cose che noi pensiamo sappia. Non perchè noi siamo l’elite, ma perchè i ragazzi escono da scuole desolanti (il 20% dei quindicenni italiani è semianalfabeta, secondo i dati della Commissione UE), hanno professori incapaci, non leggono e trovano un modello sconfortante nella classe dirigente del nostro Paese. E per gli adulti vale lo stesso. Buona parte delle persone non sa pensare, non ha senso critico. La televisione fornisce un modello di conoscenza superficiale e immediato, che non permette di capire le cose fino in fondo.  Da qui, la necessità, per sapere davvero di cosa si parla, di leggere un libro o un giornale. E mentre i libri vengono letti da un numero sempre minore di persone, i giornali hanno contenuti spesso dettati dai poteri che stanno nei loro consigli di amministrazione.

L’informazione, la scuola e l’università, insomma, devono recuperare il loro ruolo, contribuendo a creare, selezionare e controllare la nuova classe dirigente. Questi sono gli interventi più importanti da fare: riforme strutturali del sistema educativo e dell’informazione, affinchè i bambini di oggi e di domani possano avere delle possibilità concrete di contribuire in futuro, con cognizione di causa, al benessere di tutti. Questi interventi, uniti, lo ripeto, ad un nuovo sistema elettorale e ad un gran lavoro dei partiti, porterebbero ad una nova generazione politica, competente e credibile, a cui si potrebbero affidare le sorti dell’Italia. Per quanto riguarda il presente, credo sia necessario consentire alle persone oneste e disinteressate (che anche nella politica di oggi sono tante) di traghettarci fino a questo nuovo futuro. Ciò si può fare in tanti modi, che ora non posso prendere in considerazione per motivi di spazio.

Io credo che gli italiani sarebbero ben felici di abbandonarsi tra le braccia di una politica capace, che possa dare soluzioni concrete ai problemi delle persone. Nessuno che sia sano di mente può volere una politica marcia. Sarebbe bello sapere che c’è qualcuno, più su, che sa cosa fare, come affrontare i momenti critici e le crisi. E’ l’idea che ha sempre rassicurato l’uomo, quella di avere un nume protettore sopra la testa, e penso sia ancor più comprensibile, in un mondo caotico e complesso come il nostro. Tuttavia, non penso che ci si possa abbandonare troppo, altrimenti si rischia non più di delegare la nostra sovranità a qualcuno, come dovrebbe essere, ma di privarcene, staccandola e donandola a qualcuno. Bisogna recuperare fiducia, costruendo una nuova politica, ma restando sempre vigili ed attenti.

Salve a tutti, per l’occasione speciale del particolare momento politico ho scritto un piccolo contributo da “esterno” per questo blog. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate del mio punto di vista. Buona lettura, Giacomo.

Si sono dette molte cose nelle ultime settimane sulla situazione italiana. Una delle più intelligenti probabilmente l’ha detta il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, poche ore dopo le dimissioni ufficiali di Berlusconi: “Non c’è niente da festeggiare“. Non fraintendetemi: la voglia di scendere in piazza a gridare, esultare e baciare sconosciuti era grande, e l’avrei sicuramente fatto se fossi stato in Italia al momento; però superata l’euforia iniziale ci si ferma a ragionare.

La caduta di Berlusconi non poteva avvenire in un momento peggiore, e non c’è da festeggiare per -almeno- quattro motivi:

Innanzitutto, sarebbe dovuta avvenire molti anni fa, e in particolare è incredibile che solo tre anni e mezzo fa (a 14 anni dalla “discesa in campo” del Caimano, di cui già 6 passati al potere) gli italiani si siano nuovamente messi nelle sue mani. Quindi diciamo: meglio tardi che mai, ma sarebbe stato ancora meglio prima (dato che il mai non è comunque contemplato quando si parla di comuni mortali, e Silvio, nonostante lui non lo sappia, lo è).

In secondo luogo, quest’uscita di scena in sordina è una sconfitta per tutti i suoi detrattori che speravano di vederlo cacciato per altre vie, più spettacolari: non è stato schiacciato dai tribunali, condannato per una delle sue innumerevoli malefatte, né sfiduciato dai suoi alleati, ormai consapevoli del fatto che fosse totalmente inadatto a governare e sopraffatti dalla vergogna di esser visti al suo fianco, né battuto in elezioni dal popolo sovrano; bensì è stato affossato dai mercati, nel bel mezzo di una crisi globale. In altre parole la sua faretra di argomenti di difesa pubblica rimane colma come non mai: il popolo lo ha eletto e quindi lui è legittimato, è stato tradito dai suoi, la crisi non è colpa dell’Italia ma è una cosa mondiale, il Parlamento non lo ha sfiduciato, eccetera. Basta vedere il suo incredibile videomessaggio di addio per notare di quanti argomenti sempliciotti e populisti disponga: se si prova ad ascoltarlo svuotando la mente da tutto quello che si sa sul suo conto viene quasi voglia di votarlo, di amarlo. Non è difficile capire le ragioni di chi lo idolatra e lo difende sempre a spada tratta: è sufficiente ascoltare solo lui e negare l’evidenza, e il gioco è fatto.

Il terzo motivo è di natura strategica: se Berlusconi fosse stato battuto in un momento di stabilità economica e finanziaria, probabilmente si sarebbe andati al voto in tempi brevi, e questo avrebbe provocato una sicura disfatta alle urne per lui e per i suoi alleati. Adesso invece, grazie all’interregno di Monti, i Berluscones avranno tutto il tempo di ricomporsi e ristrutturare la propria immagine e credibilità in vista delle future elezioni, gettando nell’oblio popolare il recente passato e evitando oltretutto di poter essere additati come responsabili dei sacrifici che saranno necessari per affrontare la crisi. Inoltre anche la Lega ha avuto l’uscita di scena migliore che potesse immaginare: il governo è caduto ma non per colpa sua, quindi si è dimostrata un alleato fedele, e al contempo ora ha ottenuto esattamente quello che voleva: passare all’opposizione e riconnettersi con la “base” che la stava abbandonando per via della prossimità con Silvio. Anche qui vale il discorso elettorale: se fino a due settimane fa la Lega avrebbe perso molti voti, ora ha tempo e occasione di ricostruirsi un’identità, innanzitutto con la reintroduzione del penoso parlamento padano, e recuperare i consensi di un tempo, slegata dal PDL.

Il quarto e ultimo motivo per cui non c’è nulla da festeggiare è quello a cui fa riferimento de Bortoli: nella condizione in cui ci troviamo non c’è tempo per il giubilo, i mercati rappresentano un rischio enorme, sottovalutato dalla maggior parte della popolazione, e ora tutto l’impegno dev’essere dedicato all’uscita da questa situazione d’impasse. Oltretutto l’instabilità di governo è un parametro chiave sul quale si basano i mercati, che, essendo sostanzialmente “stupidi”, hanno risposto a quello che hanno interpretato come una semplice parte di un’equazione, con un drastico innalzamento del costo del credito pubblico, rendendo il recupero ancora più difficile.

Dopo queste considerazioni della prima ora, però, si aggiunge un quinto motivo di preoccupazione, ancor più chiaro ora che è stato annunciato il governo Monti privo di politici. È un motivo strutturale, di lungo periodo, intrinseco dei meccanismi profondi della nostra democrazia, e quindi potenzialmente il più serio di tutti: il ricorso a questo governo provvisorio e tecnico rappresenta un gravissimo fallimento della politica. Come pochi giorni fa scriveva il Guardian, i governi tecnici sono più spesso associati a democrazie in via di sviluppo, prive di un assetto sociale e politico in grado di fornire la necessaria rappresentatività e stabilità. Ed è qui il punto: il nostro problema è proprio questo, il nostro sistema politico si trova in una crisi gravissima, trascinato dal berlusconismo -ma non solo- in un’aura di ridicolo, di dilettantismo e più in generale nell’idea della casta. Un’idea che io non condivido, che tende ad estendere a tutta la classe politica una caratteristica propria della squadra Berlusconi, ovvero quella dell’autoreferenzialità, l’interesse solo per la propria sussistenza e autodifesa.

Ma il problema non è direttamente la casta, e non sono in particolare i privilegi e i costi della politica (che sono sì più alti che negli altri Paesi, ma comunque, se li vediamo da un punto di vista strettamente economico, non influiscono seriamente sui bilanci dello Stato). Il problema è che questi privilegi spettano a personaggi che sembrano non curarsi dell’interesse del Paese, essendo troppo impegnati ad esprimere tutta la loro italica litigiosità.

Quindi il governo Monti ha un doppio compito per il futuro: sistemare i conti del Paese, e porre le basi, con interventi quali la “legge di buon esempio” che tagli pesantemente i costi della politica e il ritorno a un regime elettorale equo, per una nuova fiducia della gente nella classe politica, della quale non possiamo fare a meno, ma soprattutto -e le due cose sono strettamente collegate- in una radicale virata di responsabilizzazione dei politici, poiché tornino a lavorare per la collettività, tentando di risolvere i numerosissimi problemi del nostro Paese, e il vasto gap che abbiamo accumulato nei confronti del resto dell’Europa in tutti i settori della Pubblica Amministrazione, come nei migliori esempi democratici che l’Occidente ha da offrire.

Il problema però è che non solo la classe politica è cambiata, ma anche i sentimenti della società lo sono: il berlusconismo nel suo senso più ampio (le ferite lasciate nel buon costume, nell’onestà e nel vivere civile dei cittadini) ha modificato l’approccio di tutte le fazioni alla politica. Rendendolo estremo e litigioso, semplicistico e miope, fissandolo sui manicheismi e sulle vendette, sulla logica della contrapposizione invece che su quella della cooperazione e del progresso per il bene comune. Il senso del bene comune è andato perso sia nei politici che nei cittadini. Ed ecco che, negli anni del berlusconismo, sono nati i Beppe Grillo e i Di Pietro. Ed ecco che nei commenti su internet si legge di teorie del complotto riguardo a Monti, e di come i banchieri si stiano muovendo per conto di un grande sistema crudelmente architettato per imporre le proprie regole e fare ancora più soldi succhiando il sangue ai poveri cittadini. Si legge che le università producono solo futuri sfruttatori capitalisti. Si legge che le banche hanno interesse a mantenere e fomentare la crisi. Appunto, un proliferare di affermazioni e ideologie accorate ma poco focalizzate, basate su conoscenze superficiali e poco approfondite della materia. E forse a questo si è arrivati perché l’italiano medio è troppo informato, troppo consapevole e troppo istruito, e quindi pensa di potersi fare un’idea più giusta di quella degli altri semplicemente leggendo qua e là, ascoltando qua e là e mettendo un po’ tutto insieme, ma fermandosi troppo presto, senza ovviamente approfondire l’analisi in modo scientifico. La necessaria semplificazione della complessità delle operazioni del governare passa ora dall’analisi del singolo con i suoi grandi limiti, invece che dalla fiducia nel sistema politico. Non esiste più la capacità (che all’estero, ad esempio qui in Inghilterra, dilaga) di rimettersi completamente nelle mani di chi si riconosce essere esperto e competente. Una capacità in un certo senso favorita dall’ignoranza riguardo ai problemi pubblici, che infatti nel mondo anglosassone è molto più diffusa che da noi. Qui la gente non sa quasi nulla, è fondamentalmente ignorante su tutto ciò che concerne il funzionamento dello Stato, ma vede i risultati nel suo piccolo e di conseguenza si orienta verso questo o quel politico, senza incollarsi a un colore. In Italia la tendenza è di mettersi nelle mani di una fazione politica perché ciò che strilla il suo leader è quanto si avvicina di più all’idea un po’ offuscata che ci siamo fatti da noi, invece che per i risultati che crediamo possano essere raggiunti da tale politico. Dialettiche fatte di fuffa e demagogia, figlie del berlusconismo, hanno contagiato molti partiti, e li hanno influenzati tutti.

In questo senso serve una rinascita della politica, basata su meno retorica e più fatti, resa funzionale e duratura da fiducia (quasi) cieca da una parte, e grande responsabilità e onestà dall’altra.

Monti è la persona giusta per guidare la barca in salvo attraverso il mare dei mercati finanziari, ma sono i politici e la società a dover fare il salto più grande, quello che ci permetterà di avere finalmente una vera democrazia. E per questo dobbiamo sperare che il governo tecnico Monti sia l’ultimo della storia del nostro Paese. Ma i vecchi politici saranno capaci di mettersi in discussione? La società sarà pronta per questo cambiamento filosofico?

Giacomo Salvatori

E’ inutile che la politica si lamenti di essere esautorata o accantonata. Le forze politiche, tutte, hanno fallito. Il loro compito è occuparsi della cosa pubblica, dei cittadini. E non l’hanno fatto, nemmeno in un momento in cui la crisi economica e finanziaria mondiale richiedeva un impegno e uno sforzo massimo. Punto. Il governo di B. non ha fatto nulla di utile se non spremere i soliti noti e la cosiddetta opposizione non è stata capace di sfruttare la debolezza estrema di un nemico che ormai non aveva più nemmeno un briciolo di credibilità. Nessuno è stato capace di dare risposte concrete. Se avessero fatto un qualsiasi altro lavoro, tutti questi signori sarebbero stati già da tempo licenziati.

Quindi qual è  la conseguenza? Che bisogna chiamare una persona autorevole e capace per risollevare le sorti del Paese. Vedremo quello che Monti farà, quali saranno i suoi ministri, le sue proposte e i suoi provvedimenti, e giudicheremo. Ma, almeno per quanto mi riguarda, mi sento molto più tranquillo in mano a Monti che a La Russa, Tremonti, Maroni, Calderoli e compagnia.

Certo, è vero che questo governo non è stato votato, non ha una legittimazione elettorale. Ma chi lo sostiene in Parlamento è già stato eletto, e quindi è espressione del popolo (per quanto questa legge elettorale lo permetta). Dopotutto, andare alle elezioni in questo momento, oltre che pericoloso per la perdita di tempo che attendere il momento del voto causerebbe (e che non ci possiamo permettere vista la situazione), sarebbe anche inutile, visto che con questa legge elettorale si rischierebbe di formare un governo che potrebbe non avere la fiducia al Senato, o comunque non avere i numeri per approvare le misure necessarie. Un suicidio, quindi.

Ultima cosa: ci vengano risparmiati i pistolotti degli scagnozzi di Berlusconi e dei loro amici del Corriere della Sera contro i festeggiamenti e le contestazioni di sabato sera (definiti “gazzarra” da Polito, “spettacolo preoccupante” da Cazzullo, che invita a non festeggiare per “rispetto dei sentimenti e delle opinioni di chi in Berlusconi ha creduto”). Ma stiamo scherzando? Cosa si sarebbe dovuto fare, stare zitti? Fare come se niente fosse? In tutto il mondo si festeggia e si è contenti della caduta di un governo che si osteggia, a maggior ragione noi abbiamo il diritto di farlo, viste le caratteristiche di quello di Berlusconi. Sono cose talmente ovvie che non ci dovrebbe nemmeno essere bisogno di parlarne. Ma siamo in Italia, quindi non ci sorprendiamo. Loro arruffino le piume, noi intanto festeggiamo.

Capisco che la guerra in Libia abbia attirato su di sé tutta l’attenzione. E meno male che è così, perchè dobbiamo mantenere alto il livello di controllo, per seguire gli sviluppi delle operazioni militari e mettere pressione affinchè le forze occidentali non vadano oltre i loro compiti. Speriamo non accada.

Ma dobbiamo ricordarci anche del Giappone. La situazione, infatti, non è assolutamente risolta. Come del resto è naturale, viste le proporzioni del disastro. Ma le notizie provenienti dal sol levante stanno piano piano quasi scomparendo, diventando delle brevi. Il motivo risiede negli enormi interessi che l’energia atomica muove dietro di sè: in Italia alcuni tra i maggiori quotidiani (Corriere, Messaggero ed altri) sono controllati da costruttori come Ligresti.

Riporto un brevissimo post apparso oggi su beppegrillo.it, a proposito della “sepoltura” delle notizie sul disastro nucleare da parte del Corriere. Subito sotto, le ultime notizie dal Giappone.

“Lo tsunami è avvenuto l’11 marzo 2011, l’allarme nucleare è scoppiato due giorni dopo, il 13 marzo. Il 19 marzo, solo SEI giorni dopo, il più disastroso incidente nucleare della Storia è stato sepolto dal Corriere della Sera (Nucleare della Sera ad honorem). Sabato 19 marzo solo due righe (di numero) in prima pagina sotto la vignetta di Giannelli. Grande rilievo invece nel paginone di apertura, oltre alla Libia, a “L’Europa assolve il crocefisso in aula“, “Schiaffi e minacce. Maestre arrestate“, “Un argine alle scalate francesi“. Uno spazio più importante di Fukushima è stato persino dato a: “Tedeschi per l’Inter. Evitate Real e Barcellona” e all’importantissimo “Per eredità e affitti conciliazione sui litigi“. Il lettore, rassicurato sul plutonio che rischia di sterminare i giapponesi e sul nucleare di ultimissima generazione (quello di Fini e della Prestigiacomo), ha potuto informarsi solo a pagina 18 sul Giappone. Per dire, a pagina 17, ben più importante era il “Video di minacce a Scilipoti. Tensioni tra u Responsabili” e a pagina 16 la lettera di Rutelli “Il 17 marzo sia sempre festa“.

ULTIME DAL GIAPPONE

La situazione della centrale nucleare di Fukushima, colpita dal terremoto e dallo tsunami dell’11 marzo, resta instabile. Gli ingegneri hanno riallacciato i cavi dell’elettricità nei reattori 1, 5 e 6 e ritengono di poter riavviare i sistemi di raffreddamento al più presto. Ma rimane l’allarme per il reattore 2, da cui continua a uscire vapore non generato dalla vasca del combustibile e per il 3 dove, a causa di un aumento della pressione e della fuoriuscita di un fumo grigio di origine ancora poco chiara. Il personale è stato evacuato.

L’Organizzazione mondiale della sanità la contaminazione dei cibi è “più grave di quanto si ritenesse in un primo momento”. “E’ evidentemente una situazione grave“, ha detto Peter Cordingley, portavoce dell’ufficio regionale dell’Oms. “E’ molto più grave di quanto chiunque potesse pensare nei primi giorni, quando si valutava che potesse essere limitata a un’area di 20-30 chilometri dalla centrale. I casi di verdure, acqua e latte contaminati hanno già sollevato le preoccupazioni dei paesi limitrofi, nonostante le rassicurazioni del governo giapponese”. Il governo ha proibito la vendita di latte dalla prefettura di Fukushima e di spinaci da un’area vicina. Mentre a quattro prefetture giapponesi è stato ordinato di sospendere la distribuzione di latte e di due tipi di vegetali. Secondo l’Autorità francese per la sicurezza nucleare (ASN) le ricadute radioattive di Fukushima sono un problema con cui le autorità giapponesi dovranno avere a che fare “per decine e decine di anni”.  E’ stata rilevata radioattività anche nell’acqua corrente di Tokyo.

Lunedì mattina. In mano una tazza di the fumante prima di una giornata di studio, anzi, prima di una giornata di studio di San Valentino lontano dalla mia bella. Almeno c’è qualche risata con Luca Bottura e la sua rassegna stampa, Lateral.

Stamattina però mi ha piacevolmente stupito: prima della lettura e del commento dei titoli della giornata, un “monologo”, non privo di ironia, che vi trascrivo qua sotto. Leggetelo attentamente, e se volete ascoltarlo, cosa che vi consiglio, cliccate qui (giunti alla pagina del link partirà in automatico la puntata podcast).

Luca Bottura, conduttore di "Lateral"

C’è un modo di descrivere il sesso che credo esista soltanto in italiano, però io sono ignorante, quindi non lo so, butto lì un po’ a casaccio, e quel verbo è “possedere”. Si dice di un uomo che “possiede una donna” mentre fa l’amore con lei. Però è un verbo sbagliato, perché se c’è un momento in cui il possesso è reciproco, e lo sappiamo, è esattamente quello. Io lo dico, lo scrivo, ne parlo per radio senza manco sapere le parole, perché, insomma, non è che me ne intenda tanto, perché c’è gente in giro che parla di quelli come me come se fossimo dei puritani, come se ci interessassimo a Piselloni e alle sue avventure a pagamento, perché ci fa schifo il divertimento, anzi, in questo caso specifico, il piacere.

Nono amici!, adesso, “amici” è una parola grossa, non è così, per niente, ma voi sapeste quanto ci piace quella roba lì, proprio de sdegno, de punta, a spiedino, donne con uomini, uomini con donne, donne con donne, uomini con uomini, elefanti, struzzi, anaconde, piramidi umane, Angelo Cusano, però, però ci fa ridere che a dire questo di me, di noi puritani, sia chi vuole negare alle coppie non sposate qualunque diritto magari soltanto perché non credono nel vostro dio, o almeno quello in cui dite di credere; quelli che vedono gli omosessuali dei deviati; chi pensa che un momento così terribile come l’interruzione di della gravidanza vada regolato con la violenza, dall’esterno, magari meglio impedito; quelli che vorrebbero impedirmi di morire “come mme pare a me” in modo decoroso; gente che mi fa e ci fa la morale con le leggi, e accusa me e quelli come me di fare il bacchettone con gli altri.

Eh, soltanto che mai come in questi momenti c’è davvero molto gusto a sentirsi un pochino diversi, non migliori, non, non più forti, siamo tutti fragili specie a letto, specie al cospetto di cose complicate come la coerenza, la fedeltà, la cosiddetta “morale comune”.

Però, però un po’ siamo diversi, diversi da quelli che ti dicono “ma funziona così”, ” ma è il sistema”, “ma è un meccanismo vecchio come il mondo, è la donna che gestisce il proprio corpo, dunque può anche venderlo…”, in fondo lo scriveva l’altro giorno un editorialista di un importante quotidiano, non dico che è il Corriere, sennò mi cacciano, uno che poi mostrava le mutande insieme a Ferrara, lui diceva che “le signore stanno sedute sulla loro fortuna”, che “la donna è libera”, eh!, è libera, è libera come durante il fascismo quando eri libero di non fare carriera se non ti iscrivevi al partito, anche lì c’era chi subiva, chi cavalcava, chi diceva no, e quelli erano pochi, e infatti non lavoravano, e poi c’erano in molti che si raccontavano “ma è normale”, “ma è tutto normale”…io non so se sia chiara la differenza, però ha a che fare proprio col possesso. Io, noi, sappiamo che una donna non la possederemo mai, per sua fortuna, nemmeno se la pagassimo, ed è solo per questo, soltanto per questo che non ci piace chi cerca di comprarsele tutte.

Il presidente della provincia di Bolzano, Durnwalder, dice: “Non abbiamo nessun motivo per festeggiare l’unità d’Italia, siamo stati annessi a Roma contro la nostra volontà”. Questo dopo anni di finanziamenti principeschi e dopo aver scambiato astensioni pro-governo con favori sullo Stelvio e sui monumenti fascisti. Lasciamo il commento alla nostra Chinonrisica.


Il Corriere della Sera di domenica 3 novembre 1918 riportava un articolo di spalla intitolato “Austria deleta”.

Con i toni enfatici della vittoria a lungo attesa, l’autore (di cui non è nota l’identità), tra le altre cose scriveva: “Per la patria è sorto finalmente il giorno della prospera fortuna. Questa prospera fortuna è meritata perchè è il frutto della più schietta forza della nazione: è il frutto d’una fede pubblica che per nessun interno travaglio si perdette; che anzi nelle ore più gravi raddoppiò le forze della volontà e il coraggio dell’azione…Questa prospera fortuna  è la dura conquista del popolo d’Italia…”.

E il “Nuovo Trentino”,  edito grazie alla costituzione di un comitato formato da Enrico Conci, Alcide De Gasperi, Rodolfo Grandi, Guido De Gentili ed Emanuele Caneppele, pubblicò qualche giorno più tardi i messaggi festanti delle categorie economiche e sociali del Trentino, all’indomani dell’ingresso dell’esercito italiano a Trento.

L’entrata del governatore di Trento, conte Pecori Giraldi, nella sala consiliare stracolma fu accolta da un sindaco protempore ” roco nel delirio esultante dei primi giorni”, dall’omaggio floreale delle donne trentine, dal saluto del clero, dei deputati e dei lavoratori trentini.

Fu quello, senza dubbio, il momento della vera Unità, per il Trentino e per l’Alto Adige. Che festeggiano quindi qualche decennio in meno, rispetto al resto del territorio italiano. Le testimonianze di quei giorni, che devo al nonno irredentista di mio marito, sono emozionanti e stonano con il clima da festa  clandestina di questi giorni.

Stupisce, comunque che il monito al risparmio  sulle spese della commemorazione arrivi da chi ha voluto utilizzare 117.289 euro di denaro pubblico per le divise di un corpo paramilitare di frontiera. E sembrano del tutto paradossali le prese di posizione del presidente della provincia di Bolzano: di italiano non ci sono solo i passaporti, in Alto Adige, ma i cospicui finanziamenti all’autonomia e i lauti stipendi di una compagine parlamentare assai poco incline alla coerenza.

Sarà difficile che gli inni e le bandiere restituiscano senso dello Stato ad una comunità frammentata e sottoposta,da decenni, all’operato di una classe politica spesso dedita a compromessi poco onorevoli con la propria coscienza. Ma nelle manifestazioni, nei sit in di protesta, nelle sacrosante rivendicazioni di genere sarebbe significativo usare, in queste settimane, solo il nostro tricolore.

Un simbolo, anche etimologicamente, è una tessera di riconoscimento, qualcosa che unisce: che ciò avvenga in occasione del 150esimo e non solo per la vittoria della nazionale di calcio potrebbe essere un auspicio condivisibile?


Sul Corriere di oggi, un’interessante telefonata tra Adriano Celentano e Beppe Grillo. Il cantante ne ha inviato il testo al giornale di De Bortoli e noi ve lo proponiamo.

Adriano Celentano (Ansa)
Adriano Celentano (Ansa)

Quando sento che il mio cellulare squilla, mi viene spontaneo rispondere senza guardare chi è che chiama. Claudia infatti mi rimprovera sempre: «Ma perché non guardi prima di rispondere?». Ha ragione, ma il mio è quasi un riflesso condizionato. Al primo squillo, a volte anche prima del primo squillo, è come se una scossa elettrica mi scaraventasse sul piccolo mostro per gridare con forza: «Pronto, chi è che parla?!?». «Ciao Adriano. Sono Beppe!». «Ah, ciao Beppe!». Era Grillo. Sì ogni tanto ci sentiamo per scambiare due chiacchiere sul mondo. Del resto l’Europa l’avevamo già trattata quando mi invitò nella sua casa al mare.
Adrian: «Come stanno le cinque stelle, brillano?».
Grillo: «Non solo brillano ma fanno scintille colorate, io sono proprio contento».
Il suono della voce che arriva dall’altro capo del telefono infatti non tradisce.
È quello di chi è fiero e orgoglioso del lavoro che ha fatto.
Grillo: «Il mio – dice – è un movimento che ormai cammina con le proprie gambe e si rigenera proprio nella forza dei giovani. Sono più di trecento quelli che entreranno come consiglieri comunali nei maggiori comuni d’Italia, e ognuno è ultracompetente nel suo ramo. A Bologna ne abbiamo due e sono bastati per bloccare la costruzione di una centrale nucleare. Questo è solo un esempio per farti capire quanto sia importante la nostra lenta ma inesorabile penetrabilità nei comuni».
Adrian: «Come posso non capirlo! Sono loro, i comuni, i maggiori responsabili dello sfacelo. I grandi devastatori di ciò che era la nostra bella Italia. Basta dare un’occhiata alle orripilanti ferite MORTALI che i genitori di Frankenstein (sindaco Moratti e Formigoni) hanno inferto alla città di Milano. La stanno DISSANGUANDO con la scusa di fare più case per la gente, ma in verità sono eleganti loculi tombali dove i milanesi, ormai indifferenti a tutto, moriranno di CANCRO. È di poche ore infatti l’approvazione dei nuovi CAMPI di STERMINIO, da parte del comune di Milano. Più di 7 milioni di metri quadrati apriranno le porte al CEMENTO.
Grillo: «Sapevo che parlando dei comuni avrei toccato un tasto a te molto caro».
Adrian: «Solo che… bisognerebbe trovare il modo di velocizzarla un po’».
Grillo: «Che cosa?».
Adrian: «La tua penetrabilità nei comuni…».
Il tempo di un sospiro e nel suo entusiasmo avverto come una leggera smagliatura.
Grillo: «Già… ma noi non prendiamo soldi da nessuno e i giornali e le televisioni se ne guardano bene dall’informare la gente sui nostri successi. Nelle cinque regioni in cui ci siamo presentati, Campania, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Lombardia ci hanno votati in 500 mila. Per legge avevamo diritto a un rimborso spese di un milione e 400 mila euro che lo Stato voleva darci, ma che noi abbiamo rifiutato in segno di protesta contro una legge che finanzia le campagne elettorali togliendo i soldi ai cittadini».
Adrian: «E allora come fate? Anche voi avrete bisogno di soldi, per pagare il personale, gli spostamenti, i permessi…».
Grillo: «Vedo che sei bravo a fare le domande…».
Adrian: «Nel senso che stavolta non c’è una risposta?».

Beppe Grillo (Ansa)
Beppe Grillo (Ansa)

Grillo: «C’è, eccome! È stabilito che un consigliere regionale abbia diritto a uno stipendio di 8 mila e passa euro al mese e tu non puoi rifiutarli, se te li danno li devi prendere. Ma siccome il movimento delle CINQUE STELLE ha il senso della misura, ha calcolato che 2.500 euro al mese sono più che sufficienti per un consigliere regionale».
Adrian: «E degli altri 6.000 cosa ne fate?».
Grillo: «Vengono reinvestiti in un conto deposito dove di volta in volta potranno servire per sovvenzionare il nostro parlare alla gente che purtroppo, come tu sai, ha un costo dal quale non ci si può sottrarre. Del resto anche i politici, credendo di dare il buono esempio, si sono ridotti lo stipendio. Ma con una leggera differenza: prendendo per il culo gli italiani han pensato di abbassarsi del 10% i loro 19mila e passa Euro mensili. Come vedi, nel loro 10% regna quel 90% di ipocrisia invece completamente AZZERATA dalla nostra autoriduzione che è quasi del 75%».
Adrian: «Non c’è dubbio che quello che stai facendo è bello e altamente nobile. Ma il Potere, purtroppo, oltre a essere quella brutta bestia che è, è anche molto ricco… coi soldi lui può comprare qualunque cosa in grado di schiacciarti».
Grillo: «Certo il Potere potrà schiacciarmi e magari lo farà anche, ma nessuno potrà fermare la macchina delle CINQUE STELLE. Essa è ormai un virus innescato in questa società sfaldata. Un virus che come le STAMINALI è capace di rigenerare e quindi riconvertire in bene tutto ciò che è moralmente malato e che soprattutto concerne l’animo, la coscienza, la sfera spirituale e non ciò che è fisico e reale. Un virus, quindi, destinato ad espandersi contro tutte le ricchezze corrotte del mondo».
Adrian: «Però sempre un progetto, a quanto pare, dai risultati lenti…».
Grillo: «Lenti ma inesorabili… perché tu, tanto per restare nel tuo linguaggio, ne conosci forse uno più rock?».
Adrian: «Sì, ma non lo dico. Non lo capiresti tu, figuriamoci i politici».
Grillo: «Senz’altro i politici non lo capirebbero e magari neanche io, ma la gente forse lo capirebbe…».
Adrian: «Sì, certo lo capirebbe… la gente ha bisogno di uno SCATTO. Uno scatto che gli indichi la DIREZIONE. Quella direzione ormai remota e persa tra le pieghe di un sogno purtroppo svanito. Uno scatto che comporterebbe senz’altro dei sacrifici ma a mio parere salutari perché, pur nel sacrificio, saremmo legati l’uno all’altro nella conquista di un nuovo modo di vivere. E il motivo per cui oggi l’uomo soffre sta proprio nel fatto di sentirsi slegato dagli altri in mezzo a tanta gente. È come se tutti ci addentrassimo in un sentiero che dobbiamo per forza percorrere, senza però alcun interesse per la meta a cui esso ci porta. Per cui sei tu quello veramente rock, hai saputo accendere una scintilla lenta ma inesorabile che divamperà quando meno te lo aspetti in un incendio purificatore, inestinguibile».
Grillo: «Però non mi hai ancora detto in cosa consiste lo scatto di cui parlavi».
Adrian: «Forse perché non ho ancora ben chiaro a quale scombussolamento esso ci porterebbe e da che parte eventualmente si dovrebbe cominciare…».
Grillo: «Non so cosa hai in mente, forse un giorno me lo dirai, ma il sentiero da percorrere purtroppo è tutt’altro che facile. È pieno di buche e di salta fossi, di ipocrisie, di politici che si vendono per pagare un mutuo o per avere una fiction in più e di altri che non si vendono, che vorrebbero davvero contribuire per il bene del Paese. Però sbagliano come ha fatto Veltroni, il quale non si accorge che nel momento in cui rilancia la patrimoniale automaticamente regala un milione di voti a Berlusconi. È così che vuol farlo cadere?».
Adrian: «Pensi che cadrà?».
Grillo: «Coi fatti dell’ultima ora certo non è messo tanto bene, ma se si andasse a votare, conoscendo gli italiani, c’è il rischio che possa essere rieletto. Tu pensi qualcosa di diverso?».
Adrian: «Il rischio effettivamente c’è. L’unica cosa che temo è che se ciò accadesse credo che lo stato di confusione in cui ora versa il Paese non si attenuerebbe, ANZI…».
Grillo: «Comunque il problema non è più Berlusconi, cade o non cade, lui ormai rappresenta il passato. Il problema vero invece è la caduta dell’economia. Il debito pubblico dell’Italia sfiora i 1.900 miliardi di Euro e continua ad aumentare. Una legge elettorale che non permette ai cittadini di eleggere direttamente il proprio rappresentante.
Più che un nuovo leader abbiamo bisogno di un curatore fallimentare che prendesse dei provvedimenti drastici: un tetto alle pensioni, abolire le Province, accorpare i comuni e abolire il doppio e triplo incarico dei nostri parlamentari… Matteoli, tanto per citarne uno, è contemporaneamente ministro e sindaco e come lui ce ne sono altri e questo non fa bene al Paese».
Adrian: «È incredibile come l’Italia sia ridotta a un vero e proprio groviglio di conflitti di interesse. Francamente penso che questa malattia, brutta malattia, abbia seriamente intaccato la natura degli italiani. Credo che, oltre al curatore fallimentare, noi italiani, ma non soltanto noi, abbiamo bisogno di un curatore ANIMALE, nel senso dell’ANIMA. Un curatore che ci insegni a ritrovare la via dell’onestà fin dalle piccole briciole. Come diceva Gesù: “Se già nel piccolo si è onesti, a maggior ragione lo si è nel grande”».
Grillo: «Sarà… ma io credo che i corruttori iniziano a essere disonesti proprio quando le briciole cominciano a diventar pagnotte. Io non so se Gesù l’ha detta veramente questa cosa, ma se proprio l’avesse detta mi permetto di pensare che forse quel giorno doveva essere leggermente distratto da quei tipi poco raccomandabili di bell’aspetto fuori, ma putridi dentro».
Adrian: «Poniamo il caso che tu sia il mio datore di lavoro. Oggi, giorno di sabato, nel riscuotere la paga mi accorgo che per errore mi hai dato 5 euro in più del dovuto. Se faccio finta di niente e tiro dritto, dentro di me mi vergogno anche se si tratta di una miseria. La mia coscienza subito mi direbbe che se già comincio a rubare le cose che neanche mi servono, figuriamoci cosa farò quando il bottino sarà molto più grande e desiderabile. Gesù, quindi, ci sta semplicemente dicendo che per praticare l’arte dell’onesto cittadino come anche quella del ladro è necessario un certo allenamento. Per cui se fin da piccoli ci alleniamo a rubare, non dobbiamo meravigliarci se poi da grandi, si forma in noi la malsana idea che CHI NON RUBA è un CRETINO».