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Pubblico ora un articolo riguardante il centro artistico-culturale di M.A.C.A.O., situato nella Torre Galfa a Milano. È l’esperienza diretta della nostra collaboratrice Whatsername, che c’è stata e ci ha descritto che aria e che ambiente si respira in questi 33 polverosi piani.

È però di poche ore fa però la notizia che la polizia ha sgomberato il centro M.A.C.A.O.: Repubblica.it, ilfattoquotidiano.it.

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Qui a Milano si sente solo questa parola: M.A.C.A.O.

Tra gli amici al solito pub, tra conoscenti su Facebook, tra compagni di università. Una sola parola, Macao.

M.A.C.A.O.? Che cos’è M.A.C.A.O.? È un progetto, è un centro culturale e artistico, è una botta di vita in questa Milano troppo morta, è voglia di darsi da fare.

Il “quartier generale” è la Torre Galfa, un grattacielo di 31 piani più due sotterranei che si alza per 109 metri all’angolo tra via Galvani e via Farra (le cui prime sillabe delle vie danno il nome alla torre). Di proprietà della Immobiliare Lombarda, del gruppo Ligresti, fu costruita nella seconda metà degli anni ’50 e usata dalla Banca Popolare di Milano come centro direzionale. Ma poi fu abbandonata, finché nel 2006 la Fondiaria SAI, il cui presidente onorario è Salvatore Ligresti, acquistò tutto l’immobile per 48 milioni di euro, promettendone la ristrutturazione entro un anno e mezzo.

Invece i lavoratori dell’arte e della cultura hanno fatto di meglio: hanno occupato tutta la torre, concretizzando un’idea apparentemente utopica.

Tutti e 33 i piani pullulano di persone di ogni età e di ogni parte d’Italia, con l’obiettivo comune di rendere la Torre Galfa un centro artistico-culturale a completa disposizione di chiunque.

La responsabilità è davvero notevole, se poi si pensa che gli occupanti, giorno dopo giorno, lottano contro lo sfratto coatto imposto dall’amministrazione comunale. Una battaglia che richiede un ingente numero di soldati. I requisiti? Un sorriso, tanta fantasia e voglia di rimboccarsi le maniche.

Per puro caso, la mattina stessa, avevo letto sulla pagina Facebook di M.A.C.A.O., l’annuncio di voler costruire una biblioteca, in concomitanza con il Salone del Libro di Torino. Subito balzo dalla sedia, frugo in tutte le mensole di casa alla ricerca di doppie copie di libri.

Così alle 16.00 mi trovo sotto la Torre Galfa, accaldata come non mai, con la mia borsetta di tela blu dell’università. Ancora prima di cercare l’info point, rimango estasiata dalla marea di gente che entra ed esce, alcuni con dei picconi sulle spalle, altri con borse piene di cibo.

Mi faccio strada tra questi strani lavoratori e dono alla ragazza seduta all’info point i miei libri. E, inconsciamente, le chiedo se posso dare una mano. Così, senza pensare troppo allo studio, agli amici che mi aspettano e ai miei impegni. Sono lì e in quel momento, e tutto il resto sembra svanire. Detto così può sembrare una crisi filosofico-spirituale tardo-adolescenziale. Niente di più falso: la forza che ti trasmette M.A.C.A.O. è proprio questa.

Mi addentro per la torre, tra la marea di gente, ma non è molto facile. Dovunque ci sono macerie su macerie, calcinacci, buche. Il pavimento non è nemmeno rivestito con delle piastrelle ed è percorso da dei piccoli canali dove probabilmente sarebbero dovuti passare tutti i fili dell’elettricità; i muri sono di cemento grezzo, pieni di crepe con dei tubi neri che sbucano dalle pareti. Non c’è nulla, se non loghi improvvisati, pareti improvvisate, sale per mostre improvvisate.

Una volta salita al primo piano, vedo che delle ragazze stanno allestendo una stanza dove nella serata ci sarà una cena. Ci sono tavoli (ossia porte appoggiate su dei cavalletti), tavolini (barilotti di birra alla cui cima è stata appoggiata una piccola tavola di legno), sedie di plastica (ricoperte con ogni sorta di materiali per non far vedere le macchie indelebili).

Ma una ragazza piccolina, con lunghi capelli neri ed enormi occhi verdi, mi prende per un braccio e mi molla in mano una ramazza: “Senti, laggiù che un qualcosa che potrebbe diventare un privè. Ti va di aiutarmi a spazzare per terra?”

Accetto molto volentieri l’incarico, mollo la borsa sotto un tavolo e mi rimbocco le maniche. Intanto dal cortile interno, il DJ mixa generi che vanno dal blues alla dubstep, dal punk al folk e io parlo con questa ragazze del più e del meno, dell’università e dell’acidità pre-ciclo.

Dopo un’oretta di lavoro, io e Emanuela sembriamo due palle di polvere. Ma non possiamo pensare alle quattro dita di roba che abbiamo sui nostri vestiti: abbiamo poco tempo e la sala non è ancora pronta. E allora via, si puliscono sedie, si costruiscono tavoli, si abborracciano dei buffet.

Siamo in tanti e ne approfitto per fumare una sigaretta. Una sola sigaretta, poi ritorno al lavoro. “Sì, sì, fai pure, tanto qui siamo più o meno a posto”.

Wow. Mi affaccio alle finestre e sotto di me si apre un mondo tutto colorato e fatto di persone. Un mondo straordinariamente normale.

Secondo tiro di sigaretta. Una ragazza, quasi in preda al panico, cerca dell’acqua. Deve mischiare la colla vinilica per fare un tavolo.

“Mi vuoi dare una mano?”

“Non ho mai fatto un tavolo con della colla vinilica, ma sono subito da te.”

Mi ustiono le dita nel tentativo di spegnere la sigaretta e nemmeno 5 minuti dopo mi trovo davanti a un tavolo di legno bianco, con un pennello in una mano e pagine di un dizionario delle religioni tagliate a strisce nell’altra. Ricevo gli ordini: pennella la colla sul tavolo, appiccica i fogliettini e poi ancora una valangata di colla.

È bastato poco tempo e quel tavolo bianco e brutto, si è ricoperto di parole, trasformandosi in un’opera d’arte.

Intorno a quel tavolo, io e altri “artigiani” rimaniamo estasiati.

Ma perché rimanere stupiti? Questo è il futuro. Questa è la rivoluzione. Questo è M.A.C.A.O.