Archivio per agosto, 2011

Oggi vi proponiamo un articolo davvero molto interessante tratto dal sito de l’Espresso. L’autore è Michele Ainis, costituzionalista e collaboatore di diverse testate italiane. Buona lettura!

ANTIPOLITICA? NO, E’ RIBELLIONE    (di Michele Ainis)

In principio c’è un artificio semantico, una truffa verbale. “Antipolitica”, l’epiteto con cui la politica ufficiale designa questa nuova cosa. Marchio di successo, tant’è che digitandolo su Google si contano 780 mila risultati. Ma che cos’è l’antipolitica? Un sentimento becero, un vomito plebeo?

No, un inganno. L’ennesimo inganno tessuto dal sistema dei partiti. Perché mescola in un solo calderone il popolo di Grillo e il think tank di Montezemolo, le signore della borghesia milanese che hanno votato Pisapia e gli studenti in piazza contro la Gelmini, i dipendenti pubblici bastonati da Brunetta e gli imprenditori taglieggiati dall’assessore di passaggio. E perché con questa parola i politici definiscono l’identità altrui a partire dalla propria. Come facciamo ormai un po’ tutti, definendo extracomunitario il filippino o l’egiziano. Ma un siciliano non è un extrapiemontese, un indignato contro gli abusi della Casta non odia la politica, ne è piuttosto un amante deluso.

Ecco, gli Indignados. Ci sarà pure una ragione se il pamphlet di Stéphane Hessel ha venduto in Francia milioni di copie, se ha dato la stura a una protesta che divampa a Madrid come a Londra e a Berlino.

E a Roma? Innanzitutto riepiloghiamo i fatti. Marzo 2010: alle regionali il non voto, sommato alle schede bianche e nulle, tocca il 40%. Tanto che il Pdl, pur vincendo le elezioni, ottiene la fiducia esplicita di appena un italiano su 7. Maggio 2011: alle amministrative sfondano gli outsider, e con loro una nuova generazione di politici. Giovani e sfrontati come il cagliaritano Zedda, che replica l’esperienza del fiorentino Renzi. Ma l’emblema è Napoli. Dove al ballottaggio un cittadino su 2 marina le urne, mentre il 65% dei votanti sceglie un uomo fuori dai partiti, perfino il proprio: De Magistris. Giugno 2011: dopo 14 anni, dopo 24 consultazioni senza quorum, 4 referendum raggiungono il 55% dei suffragi. Nonostante il silenzio delle tv, nonostante il rifiuto d’accorparli alle amministrative, che ci costringe al terzo voto in quattro settimane, uno slalom. Infine il tam tam contro gli sprechi e i privilegi di cui godono, ormai da troppo tempo, Lorsignori.

A tendere l’orecchio, quest’orchestra ci impartisce una triplice lezione. Primo: il ritiro della delega. Gli italiani non ne possono più della loro classe dirigente, di questi mandarini appollaiati su un ramo dorato da vent’anni. La seconda Repubblica ha fallito: ne è nato un girotondo di sigle, di liste, di partiti, ma le facce no, quelle sono sempre uguali. Facce che nel primo decennio del 2000 ci hanno recato in dono la crescita più bassa d’Europa.

Per forza che ormai nessuno se ne fida: possono cantare in coro la Bohème, possono anche uscirsene con un’idea mirabolante, ma sono logori, senza credibilità. Secondo: un’istanza di democrazia diretta. In parte a causa del moto di sfiducia verso chi ci rappresenta nel Palazzo, in parte per una nuova voglia di decidere, d’impadronirci del futuro. Per darvi sfogo dovremmo rafforzare il referendum, abbattendo il quorum, affiancandogli quello propositivo, aggiungendo strumenti di controllo sugli eletti come il recall, la revoca anticipata del mandato. Terzo: il ritorno dell’opinione pubblica. O meglio della sua funzione critica, che è poi il sale delle democrazie moderne, come ha mostrato Habermas. Da qui parole d’ordine quali il dimezzamento dei parlamentari, delle province, di tutti gli enti, portenti e accidenti che ci teniamo sul groppone. Da qui la goffa rincorsa dei partiti, che a parole si dichiarano d’accordo, salvo rinviare ogni soluzione alle calende greche.

Insomma la Bella addormentata si è svegliata, liberando un’energia repressa troppo a lungo. Vi s’esprime una domanda d’eguaglianza, ma anche di ricambio, di legalità, di semplificazione dei labirinti pubblici nei quali ingrassano i professionisti del consenso. Sarà per questo, per esorcizzare il mostro, che i politici l’hanno chiamato “antipolitica”. Sbagliano: è un’energia tutta politica, quella che ribolle nella società italiana. Sbagliano due volte: ormai la vera antipolitica è la loro.

Intanto arrivano i barconi carichi di rifugiati. Il mare è disseminato dei corpi di quelli che non ce l’hanno fatta ad arrivare fino a noi. La Somalia muore. E noi siamo indifferenti. Guardiamo le immagini mentre mangiamo, ci scandalizziamo per due minuti e ricominciamo a mangiare. Ci dimentichiamo quello che abbiamo visto in un secondo. Miracoli dei nuovi media.”

Leggendo questo paragrafo dell’ultimo post di Aristofane, subito ho pensato a questo breve monologo di Ascanio Celestini (tratto da Parole Sante, monologo del 2007), che parla, mediante la metafora dell’uomo che vede un rubinetto che perde, dell’indolenza italiana, dell’indifferenza a cui nessuno sembra potersi sottrarre. Mi ha colpito il modo chiaro in cui Celestini descrive come si “affrontano” i problemi nel nostro Paese: girandoci intorno, e decidendo mai nulla.

Si rincorrono sui giornali e i telegiornali le notizie del disastro economico e finanziario dell’Europa e degli Stati Uniti. Si parla di spread, downgrading, agenzie di rating, titoli che perdono e mercato impazzito. Termini che per la maggior parte delle persone non vogliono dire nulla, perchè sconosciuti. E nessuno che spieghi, in tv per esempio, cosa accade. Viviamo nell’ignoranza. Sappiamo e comprendiamo (poco) solo quelle piccole gocce di notizie che ci arrivano dal rubinetto chiuso dell’informazione agostana italiana. Il resto è buio. Qualcuno mi spiega perchè l’informazione deve andare in vacanza a giugno e tornare a settembre, come la scuola? Miracoli di Raiset.

Londra brucia. E non è il titolo della canzone dei Negramaro, brucia davvero. Il Big Beng è illuminato da riverberi rossi, le fiamme divorano auto, negozi, strade. Guerra civile, affrontata da Cameron con il cosiddetto pugno di ferro, che dovrebbe essere rigore e legalità, ma in realtà vuol dire mano pesante e già alcuni morti. Tra i riots ci sono delinquenti comuni che approfittano del caos per fare razzia di qualunque cosa e depredare i negozi? Certo. Si può ridurre tutto a questi dementi criminali? No. La rivolta londinese è figlia della crisi che stritola i più poveri, delle misure del governo britannico che, per certi versi simili a quelle del governo nostrano, tagliano welfare, gli aiuti a chi ne ha bisogno. E i ricchi ingrassano, mentre chi ha poco avrà ancora di meno. E allora, la rivolta. Nel Maghreb è stato per il pane. E’ così anche qui. Quale sarà il prossimo Paese contagiato dal vento di rivolta?

Forse l’Italia (anche se le speranze sono scarse), dove si fanno tavoli e incontri e discussioni e riunioni straordinarie e non si arriva a nulla. Alla fine, cosa esce da queste chiacchierate tra “governo” e “parti sociali”? Nulla. Mai nulla. Un nulla che divora tutto. Discutono, parlano, cercano punti d’incontro, analizzano la situazione. E non fanno mai nulla. E le cose peggiorano.

Intanto arrivano i barconi carichi di rifugiati. Il mare è disseminato dei corpi di quelli che non ce l’hanno fatta ad arrivare fino a noi. La Somalia muore. E noi siamo indifferenti. Guardiamo le immagini mentre mangiamo, ci scandalizziamo per due minuti e ricominciamo a mangiare. Ci dimentichiamo quello che abbiamo visto in un secondo. Miracoli dei nuovi media.

Non so quale sarà il mio (il nostro) posto nel mondo. Ma di sicuro questo mondo sta impazzendo. Bisogna fermarsi un attimo, guardarsi intorno e ripartire. Con un cervello nuovo, con idee nuove. Prima che sia troppo tardi.