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Che tristezza. I gruppi su Facebook su cui fare i nostalgici. “Viva gli anni ’90”.

Ma io che ci sono nato negli anni ’90 non ne sento così tanto la mancanza, non così tanto da volerli ricordare ad ogni momento, da sentire la necessità di visitare e condividere le gallerie piene di foto di ricordi “nostalgici”, per mostrare con malinconico orgoglio cosa ho vissuto, in un modo che credevo fosse proprio della senilità.

La nonna che racconta di come “pativamo la fame” e “la mattina andando al pascolo ci portavamo solo due fette di polenta fredda e un poco di latte, se c’era”, secondo me è un patrimonio prezioso e impreziosito dal fatto che quelle storie sono un po’ anche le tue radici, come vivevano i nonni un po’ ti fa sentire da dove sei venuto, ti fa percepire il terreno che calpesti e su cui si regge il tuo presente: non sono i libri di storia, ma è una persona cara che ti racconta com’è stata la vita prima di te.

Ecco, i racconti di nonni e genitori sono preziosi per questo. Ti fanno sentire un po’ più sicuro. Sai qualcosa in più di cosa c’è stato prima di te, conosci in un certo senso un po’ di più te stesso, e in qualche modo risulta più facile poter pensare ad un futuro. Futuro che racconterai a figli e nipoti, e sarà ancora più bello se l’avrai vissuto al meglio, ma soprattutto costruito e pensato tu. Tu e la persona che ami.

Non capisco quindi i miei coetanei che creano e condividono così spesso questi memorabilia (l’immagine di essi). Io stesso ogni tanto taggo qualche amico al grido di un accorato “ti ricordi…?”.  Credo che sia la normalità.

Inserisco invece questa corsa al ricordo e alla canonizzazione in un contesto più ampio, in cui rientra la scarsa creatività, la moda e la paura allucinante di non avere un futuro. Allucinante perché spesso è accompagnata dall’incapacità più o meno conscia di pensarlo questo stramaledetto “futuro”.

E allora nascono le mode del vintage, che su ogni cosa getta questa patina che tutto colora di una tonalità ingiallita. Una patina che ormai è moda.

Io stesso sono in un certo senso un cultore degli anni passati. Di recente ho recuperato un giradischi e, complice uno zio jazzofilo, ho iniziato a far crepitare la testina. Porto occhiali da sole grandi e a montatura mediamente spessa, provenienti dagli anni ’80 credo, i miei occhiali da vista ricordano Woody Allen e potrebbero inserirsi nel non-movimento/non-moda di quelli che ultimamente vengono indicati come hipster (c’è un articolo su Xl numero 75, “Hipsteria”, interessante anche se un po’ corto).

Ma non è creatività imitare gli altri. È creativo chi fa partire una moda, chi la modifica e ne coglie il senso, cioè la vive. E questa mi sembra una cosa bella. Manca così tanto la tendenza a scegliere uno stile di vita (che comprende in verità tutto, dal modo di vestirsi al modo di pensare, dal modo di comportarsi alle passioni che si hanno e si coltivano). Tutte queste cose sono collegate, una l’espressione dell’altra, tutte l’espressione di noi.

La paura di non avere radici e di perdere se stessi ci conduce a cementarle queste radici, in nome della tradizione: chi è conservatore non è, logicamente, di animo progressista, per cui la sua creatività spesso potrebbe risentirne. E così anche la sua felicità potrebbe andare scemando.

Credo che una mente aperta creativa reattiva sia più felice e sia più infelice allo stesso tempo. Si muove di più, è più viva. Ha più possibilità di essere felice. Chi è ancorato inossidabilmente alle proprie tradizioni e in un certo senso vive per queste è limitato, e la sua felicità rimane all’interno di uno steccato nel quale è facile vivere ponendosi non dico pochi, ma meno problemi. Appagare il proprio animo soltanto con oggetti o divertimenti che richiedono poco ragionamento. Questo genera le mode che non credo sia giusto demonizzare, ma sappiamo che in tanti (troppi?) le seguono pedissequamente, acriticamente. Semplicemente “fa figo” avere il Mac, “fa figo” indossare capi firmati, “fa figo” essere alternativi (che contraddizione: questo non è il calco negativo del conformismo? non è conformismo a sua volta?).

Anche se sembro fuori tema ormai, io vedo tutti questi concetti ben relazionati. Moda, creatività, futuro, paura e incapacità. Non mi sembra sano crogiolarsi unicamente in se stessi celebrando gli anni passati con i vari “una volta era meglio”, “guarda che bei tempi che erano”. Non a vent’anni. Non riferendosi a un periodo così vicino ad oggi.

Mi preoccupa questo che sembra essere un invecchiamento generale, un invecchiamento precoce. Anime vecchie, già continuamente e inesorabilmente nostalgiche. Un tempo si reagiva con i movimenti, le idee nuove che spesso erano ripescate dal passato remoto. Penso che invece ora la maggior parte delle persone se ne freghi, e preferisca cercare se stessa nel passato prossimo, accontentandosi di quel poco che trova. Hanno quasi ammazzato il nostro coraggio.