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La Grecia brucia. Sommosse, proteste, violenze. Ed è facile condannarle. Un po’ più difficile è immedesimarsi in quelle persone che hanno perso tutto. Sono state licenziate da un giorno all’altro, hanno visto scomparire metà del loro stipendio o della loro pensione, si sono ritrovati senza più nemmeno i soldi per mangiare o pagare le bollette. Sono entrati in una notte che non accenna a schiarirsi. Anzi, le nuove misure che il governo greco sta varando peggiorano la situazione.

E in tutto il mondo se ne discute. La Grecia fallirà, non fallirà, deve uscire dall’euro, deve accettare le nuove misure, deve pagare per i suoi errori. Ma è di persone che stiamo parlando. Di vite. Di famiglie. Esistenze che andranno in pezzi, schiacciate dal peso di un’austerity che non porterà, alla fine, benefici, che non farà uscire il paese dalla crisi. Come si può pensare di salvare uno Stato in recessione già da anni dimezzando pensioni e stipendi, licenziando dipendenti pubblici ed alzando le tasse?

Si parla di persone, cazzo. Eppure sembra inevitabile imporre questa morte lenta ai greci. Noi stessi ci siamo abituati ad accettare l’idea che si possa far gravare tutto il peso di una crisi economica causata dalle banche e dai banchieri sulle spalle della gente comune. Mentre invece si salvano gli istituti bancari iniettando denaro e prestando loro denaro ad un tasso di interesse dell’1% (mentre loro poi lo presteranno a loro volta al 4-5%) come fa la BCE. In questo modo le banche perderanno meno soldi, ma i cittadini dovranno pagare di più.

Non è tollerabile. Ma stiamo a guardare, ormai abituati, assuefatti. Sussultiamo, certo, di fronte ai racconti delle famiglie greche (e italiane) che stentano a sopravvivere, ma ci sembra inevitabile. Ci siamo abituati alla fine.

E intanto guardiamo ai nostri affari. Agitando lo spettro della Grecia e della catastrofe ci obbligano ad accettare tutto. E accettiamo, chiniamo la testa. E se protestiamo ci dicono che insomma, cosa pretendiamo, la situazione è quella che è, non dobbiamo essere irresponsabili. Ed è vero, la situazione è straordinaria, per carità. E così ingoiamo cose che non avremmo mai pensato di poter accettare. Ci abituiamo alla fine.

Dopotutto in questo nuovo assetto del mondo non decidiamo più nulla. Stiamo in disparte a guardare. Non siamo attori e nemmeno comprimari. Forse comparse.

E’ tutto vero è tutto vero

ci siamo solo persi di vista

E’ tutto vero è tutto vero

ci vuole tempo per ricominciare

per abituarsi alla fine

(Abituarsi alla fine – Ministri)